Estetica del ritmo

Article publié le 21 septembre 2015
Pour citer cet article : , « Estetica del ritmo  », Rhuthmos, 21 septembre 2015 [en ligne]. https://www.rhuthmos.eu/spip.php?article1607

Questa è la terza parte del capitolo quarto « Bayer e il realismo operativo » di Elio Franzini, L’estetica francese del ’900. Analisi delle teorie, Milano, Unicopli, 1984. Ringraziamo il Professor Franzini per avere autorizzato questa ripubblicazione.


L’esthétique de la grâce, emblematico esempio di trattatistica brillante e analiticamente acuta di « scuola francese », ha una sua precisa importanza non solo nel contesto storico in cui fu elaborata, i primi anni trenta, ovvero un’epoca in cui la filosofia francese era ancora sottomessa all’influsso del bergsonismo e dello spiritualismo nelle sue varie correnti, ma anche per gli intrinseci elementi di novità nell’ambito dell’estetica che, in modo esplicito, dopo i suggerimenti di Focillon e dell’ultimo Basch, si indirizzano verso l’oggetto estetico e le sue strutture.


Bayer non sembra conoscere – non sono infatti presenti nella ristretta bibliografia che accompagna quest’opera – ne i primi risultati dello strutturalismo praghense né, per lo meno in modo approfondito, le Ricerche logiche di Husserl ; ciò malgrado, la sua esigenza primaria è mostrare, a partire dai regimi e dagli aspetti dell’opera come appaiono al soggetto, le sue strutture oggettive, la sua realtà e il suo valore estetico. Non sempre, in quest’opera giovanile, possiede pienamente quella rigorosità metodologica che mostrerà più tardi, in Epistémologie et logique depuis Kant jusqu a nos jours del 1954 per quanto riguarda la filosofia generale e nel Traité d’esthétique del 1956 in riferimento all’estetica ; sono infatti evidentemente non del tutto giustificati sia la rottura fra il giudizio di valore e il giudizio di realtà sia la tripartizione gerarchica del piacere estetico. Affascinante rimane, tuttavia, l’impostazione generale della sua ricerca, che vede nello statuto dell’oggetto e nei suoi rapporti con la sfera della soggettività il momento fondativo della moderna estetica filosofica. E tutto ciò su un terreno dove è implicitamente accolta tutta la tradizione dell’estetica francese, da Séailles, Guyau, P. Souriau sino a Basch, Alain, Focillon e Delacroix.


La nozione di ritmo, in particolare, appare estremamente importante per la sintesi estetica fra i piani del soggetto e dell’oggetto : nozione che, pur derivata dagli scritti di Bergson (sin dai Données immédiates), si specifica proprio in opposizione alla sua filosofia trovando in Delacroix, o nel Bachelard della Dialectique de la durée del 1936, oltre che negli esponenti dell’estetica musicale « formalista » (G. Brelet in testa), precisi teorizzatori, fra loro connessi e, entro certi limiti, relativamente interdipendenti.


L’origine dell’estetica del ritmo si ha tuttavia, secondo Bayer, nel pensiero tedesco dell’ottocento. In un paragrafo della sua non sempre felice Histoire de l’esthétique ricorda infatti numerosi studiosi di metrica e teorici della poesia che in Germania, fra il XVIII e il XIX secolo, si sono occupati della questione del ritmo, considerandola nei suoi diversi aspetti e secondo distinte metodologie, che Bayer chiama « generiche », « teleologiche », « fisiologiche », « psicologiche » e « musicali » [1].


E’ tuttavia probabilmente in ambito francese, e ancora nell’Esthétique di Guastalla, che bisogna cercare quel legame intrinseco fra grazia e ritmo che pervade totalmente la prima opera di Bayer. Guastalla sostiene infatti che « la grazia e il ritmo sono i due elementi speciali di apprezzamento degli spettacoli che si svolgono nel tempo, costituendo una successione » [2]. Esse appartengono, in particolare, a quelle opere, non riproduttive ma di creazione assolutamente originale, come la danza e la musica dove il ritmo diviene infatti un elemento originario di bellezza e di giudizio sulla bellezza.


Inoltre, sin dalla Psychologie de l’art di H. Delacroix, il problema del ritmo come questione fondante, almeno dal punto di vista psicologico, la sfera dell’esteticità, acquista forza e si caratterizza proprio opponendosi al dominio incontrastato dell’indistinta durata e specificandosi come il tempo proprio della vita di coscienza e, in particolare, dell’immaginazione creatrice. E queste tesi di Delacroix spesso sembrano confondersi con quelle esposte da G. Bachelard nell’Intuition de l’instant del 1932 e nella Dialectique de la durée del 1936, oltre che con L’Esthétique de la grâce e il famosissimo saggio di Bayer del 1941 sull’estetica di Bergson. Tali problematiche, linea polemica fondamentale dell’estetica francese di contro ai misticismi d’ispirazione bergsoniana, rivestono anche specifica importanza all’interno delle singole filosofie di questi autori.


Bachelard, in particolare, con questi scritti esce per la prima volta dall’ambito epistemologico e sembra voler quasi presentare un introduzione metodologica alla psicanalisi e alla poetica delle rêveries, di cui il ritmo è l’anima segreta, il vero e proprio principio vitale dell’immaginazione nel momento della creazione poetica. Nell’analisi della Siloë di Rupnel, Bachelard si oppone alla filosofia bergsoniana che, nella mistica della durata continua, considera « un taglio artificale che aiuta il pensiero schematico del geometra », uno strumento dell’intelligenza che, « nella sua inettitudine a seguire il vitale, immobilizza il tempo in un presente sempre fittizio » presente che è « un puro niente, che non arriva nemmeno a separare realmente il passato e l’avvenire » [3]. E’ invece necessario sottolineare l’esperienza dell’istante e la filosofia dell’atto in essa presente : atto, dice Bachelard, che si concretizza nella vita e nel’oggettività stessa del tempo, nella realtà concreta delle cose e non in quella « impressionante tela impressionista », offerta dalle immagini dell’introspezionismo bergsoniano.


Bachelard vuole quindi dimostrare, come già era implicito in Delacroix, il carattere assolutamente discontinuo del tempo attraverso una serie di argomentazioni che verranno utilizzate anche da musicologi e che erano già presenti nella filosofia della musica di M. Emmanuel e L. Landry. Queste teorie non sono tuttavia puramente distruttive nei confronti del bergsonismo poiché intendono a loro volta formare una vera e propria « filosofia del tempo » dove, ispirandosi anche a P. Servien, e al portoghese Alberto Pinheiro dos Santos, Bachelard, in sintonia con Bayer, vuole mostrare che « i fenomeni della durata sono costruiti con dei ritmi e dunque i ritmi sono necessariamente fondati su una base temporale uniforme e regolare » [4]. Se il pensiero di Bergson è una « filosofia del pieno », dove il presente si annulla nella durata, quella di Bachelard è una costruzione della durata stessa attraverso la ritmicità coordinata degli istanti temporali concreti : per la monade nascere e rinascere e sempre la stessa azione ma « le occasioni non sono sempre le stesse, tutte le riprese non sono sincrone e tutti gli istanti non sono utilizzati e collegati dagli stessi ritmi » [5].


Il ritmo è dunque una nozione inseparabile della conoscenza del tempo, che è costituito da istanti discontinui che aderiscono alla coscienza nella sua attività concreta : il tempo ritmico è il tempo della rêverie, della creatività poetica e poietica, di quella « melodia spirituale » che conduce verso le creazioni dell’arte, di quell’immaginazione che costruisce ritmicamente, in un alternarsi di vuoto e di pieno, quell’infanzia di sogni che è all’origine dei nostri stessi ritmi. Solo una pluralità – una pluralità di istanti – può quindi durare « e divenire una pluralità è polimorfo come il divenire di una melodia è, a dispetto di tutte le semplificazioni, polifono » [6]. Poesia e musica hanno in sé una « dialettica della durata » formata dagli istanti ritmati delle loro rêveries costitutive : sono « il principio di una simultaneità essenziale in cui l’essere più disperso, il più disunito, conquista la sua unità » in modo tale che « l’istante poetico è una relazione armonica di due contrari » [7], l’espressione di un dinamismo puro e creativo.


L’opera poetica, come qualsiasi oggetto estetico, si pone di fronte a noi nella specificità della sua struttura temporale che lo differenzia dagli altri oggetti del nostro mondo circostante. Differenza che non è solo psicologica e soggettiva ma che dipende, come Bayer afferma con chiarezza nel saggio Essence du rythme del 1956, dalla sua struttura temporale oggettiva in accordo con la nostra interna temporalità, col tempo ritmico, direbbe Bachelard, degli istanti delle nostre rêveries : « bisogna cogliere l’oggetto estetico, scrive Bayer, come uno strano composto di Io e cosa, il cui insieme potrebbe apparire, in primo luogo e per natura, inseparabile » [8]. L’estetologo vede qui apparire una legge intrinseca alle cose stesse e al giudizio estetico : i fenomeni dell’ordine estetico sono tutti caratterizzati da una certa costanza, che è rivelata dallo studio dei ritmi. Il ritmo può dunque apparire, in Bayer, come l’essenza dell’arte (o, meglio, dell’estetico) grazie alla sua natura costitutiva e al ruolo che gioca nell’espressione della bellezza. Esso è infatti percepibile e intimo : da un lato partecipa alla durata incorporata ai movimenti della coscienza e, dall’altro, è percepibile anche come scansione di un corpo esteso. E’, per così dire, « un termine anteriore all’oggetto e all’io : voi vedete questa ritmica nell’arte ricadere nell’universo in regimi visibili, in forme, in strutture ; voi lo sentite nel mondo intimo mantenere delle pause e una disciplina » (Ibid., p. 377).


Il piano dei ritmi è dunque il luogo di incontro fra soggetto e oggetto, fra il formalismo e lo psicologismo, cui Bayer ha sempre mirato. La costanza delle figure dei ritmi – la loro grazia – si ritrova infatti, al di là delle differenze specifiche, nel fondo di tutte le arti come una qualità sensibile che cogliamo negli oggetti del mondo esterno percependo la figura, il movimento o il numero. L’oggetto estetico si eleva « sul fondamento di un sensibile proprio » che, nello stesso tempo, si trova nell’intimità del mio io psichico presentando il ritmo come « quel sensibile comune che introduce la cosa nel mondo dell’arté » (Ibid., p. 384). Se l’opera è una forma sensibile data a dei ritmi, se esiste una ritmica sotto ogni forma, è allora l’oggetto stesso che offre al soggetto il ritmo il cui equilibrio corrisponde all’economia dell’opera. Nell’oggetto si ritrova dispiegato tutto ciò che è dell’io, il suo stesso equilibrio riprodotto in qualità percepibile ed esteriore.


L’esame fenomenologico dell’oggetto estetico – che Bayer non distingue dall’opera d’arte ma anzi tende a indentificare con essa o, meglio, in virtù di residui positivistici, con il gran numero delle opere d’arte realmente esistenti –, la ricerca dei suoi ritmi e delle sue interne strutture non è quindi un « obbiettivismo », indirizzato unicamente allo studio delle forme fissate, ma un indagine in grado di rivelare anche l’intimità dell’io, ovvero, come voleva Delacroix, le strutture oggettive della psicologia individuale nella sua energia creatrice, nella specificità estetica della sua energia interiore, nella ricchezza delle sue strutture espressive. Le indagini sul ritmo tendono dunque a un momento di armonia in cui gli opposti convivono. attivamente – a una « grazia », come la chiama Bayer, o a una « infanzia cosmica » per usare l’espressione di Bachelard. Il Bello è il risultato assoluto di processi relativi, è il venire alla luce di un « bilancio », di un’armonia umana che il « mondo estetico » rappresenta simbolicamente, assumendo una venatura etica che sempre percorre l’estetica francese.


Il ritmo, nella sua armonicità, non è tuttavia riposo o abbandono bensì, sempre di nuovo, « poieticità », « musicalità » attiva. Come ha recentemente scritto Raymond Court, il ritmo, « articolazione vissuta di due contrari primordiali, Dioniso e Apollo », la cui musicalità pervade ogni opera d’arte, è il senso stesso del nostro tempo e della creatività che lo plasma nell’oggettività dell’arte [9].

Notes

[1Si veda R. Bayer, Histoire de l’esthétique, Paris, Colin, 1961, pp. 281-290. Abbiamo per Bayer varie teorie genetiche del ritmo, in qualche modo fuse in Lotze. Vi sono poi teorie teleologiche o, più importanti, quelle psicofisiologiche cosi come quelle psicologiche e formaliste di Herbart e Zimmermann.

[2P. Guastalla, Esthétique, cit., p. 148.

[3G. Bachelard, Intuizione dell’istante, Bari, Dedalo, 1973, p. 46. Si noti che in quest’opera Bachelard cita La gènese de l’idée de temps di Guyau, segnale di una certa conoscenza del mondo degli studiosi di estetica.

[4G. Bachelard, La dialectique de la durée, Paris, Boivin, 1936, p. 5.

[5G. Bachelard, Intuizione dell’istante, cit., p. 97.

[6G. Bachelard, Dialectique de la durée, cit., p. 142.

[7G. Bachelard, Istante poetico e istante metafisico in Intuizione dell’istante, cit., p. 115 e p. 116.

[8R. Bayer, Essence du rythme, in « Revue d’esthétique », ottobre-dicembre 1953, p. 370.

[9R. Court, Le Musical, Paris, Klincksieck, 1976, p. 205.

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